Il sistema AR Classic 5 nel suo settore rappresenta l’evento dell’anno, paragonabile per importanza al passaggio di Linn al digitale, un marchio impostosi a suo tempo come il più oltranzista tra i costruttori di sorgenti analogiche nella negazione di qualsiasi validità per l’audio di origine numerica.
Evento dell’anno dunque e senza esagerare. Come definire altrimenti il passaggio al bass-reflex di AR, il costruttore che per primo, nei tardi anni ’50, ha realizzato un diffusore a sospensione pneumatica, sistema divenuto un emblema di famiglia, oltreché l’artefice del suo successo a livello planetario?
I lettori con maggiore esperienza comprenderanno all’istante la portata dell’evento, per gli altri tanto vale fare un po’ di storia. Agli albori della riproduzione ad alta fedeltà, per ottenere un’accettabile risposta alle basse frequenze, si impiegavano altoparlanti di dimensioni colossali per i criteri odierni. Questi erano montati su pannelli piani: più grandi il pannello e la membrana, più estesa la risposta dell’altoparlante. Ciò portò in breve ad avere diffusori di proporzioni inaccettabili, sia pure per l’utenza elitaria di quel tempo. Si tentò quindi di chiudere l’altoparlante all’interno di un contenitore, incaricato di simulare le caratteristiche di un pannello di grande estensione, da cui la denominazione del sistema, «baffle infinito», abbastanza diffuso ma dalle prestazioni tutt’altro che eclatanti.